lunedì 20 febbraio 2012

me ne frego (5)



Il paese si chiamava Poggio alla M., ma tutti lo chiamavano solo Poggio. Stava appoggiato sul cocuzzolo della montagna, anzi, visto che erano solo quattro case dal tetto rosa, si poteva definirlo il capezzolo della montagna. Una piazza, quattro case e una larga strada bianca che portava alla cava di pietra serena, la pietra era stata per anni l'unica fonte di sostentamento e la sola cosa pacifica estratta in tutta la zona. Le quattro anime che abitavano il Poggio erano conosciuti per la loro rissosità e il loro carattere perennemente incazzato, le scazzottate erano all'ordine del giorno. I carabinieri pensarono di tenere un distaccamento con un paio di uomini per frenare le continue zuffe e per evitare di farsi ogni volta di corsa i dieci chilometri che separavano Poggio dalla caserma in città. Poi vennero i fascisti, la guerra subito dopo e infine i bombardamenti dopo l'8 Settembre a chiudere la storia di Poggio, della sua cava e delle sue anime irascibili.

Piazza Pini, al centro esatto del paese, non era dedicata al sempreverde, anche perché quella zona imperava l'abete bianco che aveva spodestato gli aghi verdi qualche milione di anni prima. I Pini erano due fratelli : Oscar e Faliero, gli unici di Poggio che avevano raggiunto una parvenza di celebrità. Oscar era stato poeta di fama nazionale, ma il suo volumetto di sonetti rinterzati e caudati era appannaggio dei soli specialisti del verso, ignoto agli studenti e al lettore medio. Faliero Pini invece era stato sindacalista combattivo e tenace, era riuscito a fondare una Camera del lavoro dei cavatori, soprattutto aveva scoraggiato i pochi simpatizzanti fascisti di Poggio a partecipare alla marcia su Roma e aveva sempre rifiutato la tessera del fascio. Erano entrambi morti prima della guerra mentre l'Italia era in piena euforia totalitaria. Le statue in pietra serena adornavano la piccola piazza circondate entrambe da una serie di piccoli abeti disposti a mezzaluna.

La notte di martedì grasso del 1943 una squadraccia comandata dallo squadrista Goffredo Renacci detto Fucilino si inerpicò verso Poggio per compiere un'azione dimostrativa tesa a fiaccare la resistenza degli incazzosi abitanti del Poggio. Fucilino accompagnato da altri quindici camerati volevano scalzare la statua del sindacalista Faliero Pini togliendola dal piedistallo e buttarla nel fiume. Quando, all'una di notte, gli squadristi raggiunsero la piazza si trovarono di fronte una amara sopresa. Sul basamento delle statue non c'era alcuna indicazione, le due figure di pietra si assomigliavano in maniera sconcertante e quella notte era nera, troppo fascista anche per il Renacci e i suoi fedeli. Ma qual'era il sindacalista dei due ? Entrambi avevano un libro in mano, non c'era nessuna corona di alloro (simbolo ineluttabile del mestiere poetico), nessuno dei due portava occhiali, nessuna camicia sbottonata né pugni chiusi. Ma quale cazzo era il poeta ? Nessuno nella squadraccia era così anziano da ricordare, non rimaneva che il caso. Dopotutto solo Iddio poteva fermare la volontà fascista, gli uomini e le cose mai ! Sradicarono la statua a destra della piazza, quella leggermente più alta e con la capigliatura più fitta, se la caricarono sulle spalle e affrontarono la loro via crucis verso il fiume, gettandola infine nel punto più profondo. Gli abitanti non reagirono subito, per loro era come non fosse successo nulla, non volevano dar soddisfazione. Qualche mese dopo un gruppo di fortezze volanti mal istruite scaricò il suo carico di bombe sul piccolo Poggio radendo a zero l'abitato e non lasciando scampo alle cinque anime che vivevano lassù succhiando il capezzolo del monte, statua orfana compresa.

Questa storia era finita nell'oblio per decenni, si pensava addirittura che le statue fossero solo un aneddoto leggendario, era stata addirittura messa in dubbio l'esistenza del Poggio, finchè durante un carotaggio del fiume in secca la statua fu ritrovata. Era quasi integra, mancava una gamba, la mano in pietra aveva perso le dita dopo il tuffo, solo il medio della mano destra svettava ritto sulla poca acqua limacciosa. Un segno. Avevano ritrovato il Poeta...







13 commenti:

  1. Ironia tragica della Storia! Dalle mie parti Renacci era un partigiano caduto per mano degli oppressori.

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  2. La guerra che cambia le cose ma soprattutto gli animi

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  3. Sono pini che reggevano il peso della neve e della morte molto meglio.

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  4. Incredibile scoprire come certi segni significativi resistano nel tempo, in barba a tutte le avversità

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  5. sempre con piacere, torno a leggerti

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  6. Fantastico Giardi, stavolta hai superato te stesso. Il 'capezzolo della montagna' mi ha fatto ridere.

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  7. ottimo racconto, i due fratelli...sai davvero scrivere jardigno...Elisabeta_b

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  8. Ghiannis Ritsos


    Segni

    In seguito le statue furono completamente
    nascoste dalle erbacce. Non sapevamo
    se erano rimpicciolite le statue o cresciute
    le erbe. Solo
    una grande mano di bronzo si distingueva
    al di sopra dei lentischi
    in atteggiamento di sconveniente, spaventosa
    benedizione. I taglialegna
    passavano nella strada in basso – non si voltavano
    affatto.
    Le donne non giacevano coi loro mariti. Di notte
    sentivano le mele cadere a una a una nel fiume;
    e poi
    le stelle che segavano tranquille quella mano
    di bronzo sollevata.

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  9. a proposito di "me ne frego" :http://payload.cargocollective.com/1/0/128/51484/libris7.jpg
    mgdalene57

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  10. ripercorrendo i capitoli di questo racconto mi sono venuti alla mente aneddoti raccontati dal nonno e con essi l'emozione di chiacchierate ormai lontane nel tempo eppure presenti. Evocativo ed originale !!
    Ciao
    Andrea

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