mercoledì 13 ottobre 2010

Storia di Yahya


Arriverà in ritardo. E' sicuro. Yahya è sdraiato sull'asfalto all'inizio della salita del Poggio alla M.
E' caduto, non respira bene. La ruota della sua bici gira a vuoto come la ruota della fortuna. Il sole è troppo basso per uscire come un cento al primo colpo e i raggi della ruota sembrano mescolare la poca luce della mattina col buio di ieri. Gli sfilano di fianco un gruppo di ciclisti colorati . Attaccano la salita ridendo come dentro gli spot delle cucine.

Gli gira la testa. La fabbrica dove lavora è in cima alla salita. Costruiscono grossi trasformatori elettrici. Sono cinque i bengalesi che lavorano lì dentro. Nelle foto sembrano una di quelle squadre di calcetto amatoriale con le divise scombinate. Allstars straccioni. Tutti i giorni a respirare quelle resine puzzolenti. Le colle potenti che ti fanno lacrimare. L'aspiratore ha smesso di funzionare quattro anni fa. Da cinque non fanno una visita col Medico del Lavoro. Il grosso portone dell'officina è sempre aperto a cambiare l'aria. E il vento in quella zona è un gran ruffiano. Sta col padrone.

La pausa pranzo la fanno nel cortile dell'officina, ma quando piove apparecchiano sul tavolo di lavoro. Non si potrebbe fare. Perché se ti casca un pelo su quei grossi trasformatori, è come aver costruito una bomba. Allora mangiano come pregano.

Qualcuno ha chiamato l'ambulanza. Lui non voleva. Gli capita spesso, poi si riprende. Escono con la barella quattro angeli dal forte accento cattolico, ma quello con la testa di tigre deve essere uno dei suoi.

"Di che razza sarà?" si domandano gli angeli. La tigre gli prende il polso.

Sente dentro di sè il tac dell'orologio marcatempo che segna le ottozerouno. Ritardo.Non è il cuore.

Ride. Sul sito della Farnesina sconsigliano viaggi nel suo paese.

"Le Università sono tradizionalmente politicizzate e scontri fra le diverse fazioni degli organismi giovanili sono un fatto frequente.
Sedi di protesta per ragioni salariali o di condizioni di lavoro sono le fabbriche nella cintura di Dhaka."

Gli mettono una mascherina. Arriva aria fresca da un albero bianco. Si tocca in tasca a cercare le chiavi. Non ha chiuso la bici.Un grosso lucchetto gli dorme in tasca.

32 commenti:

  1. Anch'io vorrei teste di Tigre, Pesce palla e Cavallo sul collo dei soccorritori. E anche un Sanbernardo con botticella di rum! :)

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  2. weeeeeeeeeeeeeee antonio songo attornato a smaronarvi tiè ahahhahahahhahaha

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  3. Una volta l'ho soccorso uno che era caduto dalla bici ed era svenuto... Aveva un grosso buco in testa e fiottava sangue come una fontana a getto continuo. L'ambulanza l'avevamo chiamata ma sembrava non arrivare mai. La strada era in discesa e il sangue scorreva sull'asfalto e gocciolava in un tombino poco distante. Si è saputo dopo che quell'uomo era epilettico e che quello era già il terzo buco che si faceva in testa. Ovviamente se l'è cavata

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  4. La bimba spacca pietre Antonio e tu oggi hai spezzato me, la dolorosa bellezza del tuo nuovo romanzo breve mi ha messo il magone.

    grazie

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  5. Il vento sta sempre dalla parte del padrone.

    Gran bello spezzone, come sempre.

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  6. ....la ruota dei desideri in troppi casi all'incontrario va...

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  7. che tristezza!!! anche se hai saputo occultarla in modo sapiente, bravissimo!!!
    1 bacione

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  8. Mi hai fatto venire in mente le vittime del Petrolchimico di Porto Marghera...italiani o bengalesi, che differenza fa?
    Senza tutela da vivi, senza giustizia da morti.

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  9. quanti sprechi, quante vite malvissute, se potessero per lo meno rendere felici coloro che hanno la fortuna di stare meglio, non sarebbero vite buttate... ma noi ci lamentiamo comunque....

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  10. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  11. SLOW
    Dietro il tubo della mascherina, Yahya, sognava al rallentatore.
    Nella sua testa vagavano nuvole sfilacciate da un cielo molle.
    Avevano perso l'orientamento e non sapevano dove andare.
    Tutto, nella sua testa, scorreva lento.
    Slow.
    - You are slow - lo reguardiva impaziente, in pessimo inglese, il suo capo italiano.
    Ma perchè poi gli parlava in inglese?
    La sua nazione non era più una colonia britannica dal 1947 e lui capiva tanto poco d'italiano quanto d'inglese.
    La sua lingua era il bengalese e, Yahya, dubitava fortemente che l'italiano ne avesse una qualche nozione.
    Che male c'è ad essere slow?
    S'interrogava seguendo le nuvole nella sua testa.
    Le acque verdi del Gange erano slow, e la gente che vi si purificava e la vacche sacre che vi si abbeveravano e il pensiero profondo di Gandhy non originava, forse, dalla lentezza che la meditazione richiede?
    Era sicuro che nella testa del suo capo italiano le nuvole non transitavano mai lente, non si fermavano in quell'ambiente così ostile, ma schizzavano via con la velocità di un missile, alimentato dalla schizofrenia congenita dei suoi ritmi.
    Non c'è nulla di sbagliato nell'essere slow, decise Yahya da dietro la mascherina dell'ossigeno, lasciandosi ancora un pò irretire da quelle nuvole sfilacciate nel loro cielo molle.

    Un bacio, Antoine.
    Bellissimo post, molto intenso, amaro e dolce insieme.
    Impossibile non voler bene a Yahya.
    Impossibile non apprezzare te.
    Marilena

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  12. P.S. Come al solito ho imbrattato il tuo blog.
    Sorry :)
    Marlene

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  13. cambio nome?

    il pensiero del lucchetto alla bici è un'immagine di grande tristezza...gente che non ha niente, mentre sta male non pensa a cosa accadrà alla sua persona ma all'unica cosa di valore che ha: la bici :-(

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  14. Quella frase sulla ruota della bicicletta e quella sul vento sono due perle da ammirare e che ho ammirato così come l'hai scritte tu.

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  15. Un racconto reale e triste..e se ci guardiamo intorno..quanti?

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  16. Quanti Yahya in giro per il mondo, quante biciclette rimaste sole, per poco.Che bravo.

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  17. Cio carissimo,
    mi hai fatto venire i brividi a pensare a quel lucchetto rimasto in quella tasca.
    Si, il vento spira sempre dalla stessa parte...da quella del padrone, ma c'è chi finge di non accorgersene perchè gli fa comodo, gli sta bene così....
    E intanto le ruote continuano a girare a vuoto e i lucchetti a restare nelle tasche..
    Quanta tristezza
    Bruna

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  18. Che dire.... sottoscrivo
    e ti lascio un buon tutto!
    mirco

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  19. C'è d'aver paura oggi a ricoverarsi non sai mai chi ti possa capitare e i più non svolgono al meglio il proprio lavoro.Per non parlare di chi opera, l'unica cosa che salvo è la cultura di chi dopo anni di studio si laurea in medicina, infatti con loro si parla di tutto .

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  20. Giardy, quanta verità hai pubblicato su questo post, pieno di significati che fanno riflettere. Ho provato rabbia e dolore nel leggerlo, perchè in quel lucchetto è racchiusa tutta la miseria d'un povero operaio sventurato.
    Come sempre sei stato magistrale nello sviluppare un argomento così delicato e quanto mai vero!
    Un bacio Giardy, dalla figlia di un operaio ke respirava polvere di marmo e vestiva abiti con cappelli fatti di giornale!
    Elisena

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  21. Giardigno non delude mai, nè quando dona le sue piccole perle di saggezza in chiave comica, np quando le propone in una salsa più agre che dolce. E così è in quest'ultimo stralcio... Come al solito, il nostro maestro Zen fa Zero errori!

    Strepitoso.

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  22. sisi ripresissima ho avuto una settimana piena!
    te?

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  23. weeeeeeeeeeeeee

    you can't need no more big pizzaaaaa

    you don't live always panizzaaaaaa

    you can dream coca an alabanaaaaaaa

    you can travel to copcabanaaaaaa

    ahahahaahaaahhahaah

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  24. Io sono stupita dal senso di rassegnazione che hanno in genere i Bengalesi e gli Indiani.
    Sorridenti, umili, come hai scritto tu, mangiano come pregano, io aggiungo vivono la loro vita come una preghiera.
    ^_^

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  25. mi sono commossa a leggerlo ed anche un po' intristita, purtroppo succede quando si prende atto di determinate realtà.. davvero bravo e complimenti per la delicatezza ed eleganza del post

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  26. una canzone di alanis morisette in loop potrebbe essere il miglior antifurto.

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