Si è abituato. Si è abituato a pensare in grammi. Si è abituato alle visite, come se il suo Indice di Massa Corporea fosse stampato sul documento di identità. Si è abituato a salire da solo in ascensore. Si è abituato a non avere un compagno di fianco sul treno. Si è abituato a vedere la sua figura uscire dallo specchio, a coprire un materasso a due piazze, da solo. Si è abituato ai dottori bravi, alle bilance a tre cifre coi numeri che lampeggiano.
Quello di stasera è veramente bravo, lo misura senza giudizi, usa degli utensili strani: un calibro che sembra uscito da un'officina meccanica gli stringe la ciccia, poi segna tutto su un quaderno dalla copertina verde pieno di formule. In quelle formule non compare mai il simbolo della divisione, non c'è scampo, capisce che nemmeno stavolta ci saranno aiuti. Quando passa queste visite gli viene in mente la parola bestiame. Ha imparato a essere cattivo con se stesso, ma gli passa. Sono bestiame si dice. E' una cattiveria, ma è anche un po' consolante, come tutte le cattiverie.
"Leggo dalla sua scheda che a 16 anni era 73 chili", gli dice il dottore dopo aver calcolato un altro indice sul quadernetto. Lui lo guarda smarrito, ha imparato a non guardarsi i piedi mentre parla, prima lo faceva di continuo e il peso metteva radici. "E' vero", risponde, "a quei tempi davo del tu alla pancia". Ha imparato questa battuta da uno più vecchio e grasso di lui. "Ora uso la seconda o la terza persona plurale", conclude allargando l'unica cosa magra che gli è rimasta in faccia.
"Tranquillo", gli fa il dottore prima di chiudere il quaderno verde, "la faremo tornare quel ragazzino".
La paura non la scrivi, quando riesci a metter giù la paura vuol dire che ti è passata. Fosse stato un provino da attore e gli avessero detto: ora fammi la paura sarebbe stato perfetto. Poteva già preparare il discorso per le premiazioni. Per scrivere la paura invece devi aspettare. Gli è tornato tutto in mente: il sottoscala con la rampa di cemento scuro e umido, gli scaffali pieni di bottiglie di liquore fatto in casa, le spazzole consumate, l'odore di pulito raschiato, le mutande sporche, tivogliobenenondirenienteallamamma, i bicchieri pieni per dimenticare, la sua voce che cambiava voce appena finito. Allora lui pensava fosse finita, poi si è abituato. Perché alla fine la cattiveria è consolante quando dura tanto.
"La prego dottore non mi faccia ritornare."
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al mio amico P.
RispondiEliminatu li sai dare i pugni nello stomaco, sempre bene assestati. Un abbraccio a P.
RispondiEliminaLa paura. La odio da quanto mi piace averne, a volte. :-)
RispondiEliminaCaspita che bella.
RispondiEliminaBravo giardi.
bello, mi piace soprattutto quel "si è abituato a pensare in grammi"... mi fa pensare all'importanza del tempo, al motto "Festina lente" affrettati lentamente, conceder(e)si tempo
RispondiEliminaaltresì quel "La paura non la scrivi, quando riesci a metter giù la paura vuol dire che ti è passata"
complimenti :)
Ho la tristezza e l'amaro agli angoli della bocca e degli occhi.
RispondiEliminamaronnamiabella Giardi, mi hai atterrato in due righi...
RispondiEliminasei assolutamente (e io odio usare assolutamente come parola ma quando ci vuole ci vuole) reale e spietato. da brividi insomma
Sandra
Ma quando si decide a pubblicarti mister Varano?
RispondiEliminaCapito qui per caso in un giro di "zapping". Mi fermo per dirti che le parole che scrivi sono stupende...poesia.
RispondiEliminaComplimenti
Sara(una che si è abituata a pesare in grammi)
Torno dopo oltre un anno di assenza e la prima cosa che leggo, da neomamma, mi gela il sudore addosso. Ma la vita è fatta anche di questo e tu sei grande Giardi perché sai raccontarlo.
RispondiEliminaincollata allo schermo. :*
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